RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - Diaz, un giorno in tribunale. "Non si può dimenticare"

Genova, 19 maggio 2010

Diaz, un giorno in tribunale. "Non si può dimenticare"
Checchino Antonini

Non è assolutamente abitudinario l'assembramento al tramonto di ragazzi e poliziotti, avvocati e parti lese sotto il Palazzo di giustizia di Genova. I cronisti ci sono ma le telecamere no: vietate dal tribunale le riprese video della lettura della sentenza d'appello per la mattanza cilena della Diaz. L'udienza velocissima del mattino aveva dato appuntamento alle 19 per sapere se quel dispositivo sarebbe stato letto in serata oppure rimandato all'indomani. Al momento di andare in stampa la piccola folla viene a sapere che sarà pronunciato solo alle 23, «orientativamente», l'ennesimo capitolo di questa vicenda iniziata la notte tra il 21 e il 22 luglio di nove anni fa.
«Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi. La premeditazione, i volti coperti. La falsificazione del verbale di arresto dei 93 no-global. Le bugie circa la presunta resistenza dei no-global. La sistematica ed indiscriminata aggressione. L'attribuzione a tutti gli arrestati di due molotov che erano state portate nella scuola dagli stessi poliziotti», aveva detto il procuratore generale quando, in febbraio, aveva preso atto delle prescrizioni intervenute ma anche di ciò che resta in piedi delle accuse: il falso ideologico, le lesioni personali gravi ed un caso di peculato. Tutto ciò per negare agli imputati le attenuanti generiche e chiedere centodieci anni di carcere per i 27, tra agenti e funzionari, imputati per la macelleria messicana alla scuola Diaz. Il primo grado aveva registrato 13 condanne di celerini (quattro anni per Canterini e due per il suo braccio destro, Fournier, che confessò di aver visto episodi da «macelleria messicana», quattro anni anche per Pietro Troiani, il vice-questore che materialmente aveva portato le molotov dalla questura) e 16 assoluzioni di alti papaveri nel frattempo tutti convolati a nuovi e prestigiosi incarichi. Un ironico applaso, quella sera di novembre di due anni fa, accolse la stupefacente sentenza. Qualcuno scandì la parola «vergogna».
La pubblica accusa è tornata a chiedere 4 anni e 10 mesi per Francesco Gratteri, attuale capo dell'Antiterrorismo, e per Giovanni Luperi, oggi responsabile dell'Aisi (l'Agenzia informazioni e sicurezza interna), l'ex Sisde; quattro anni e 6 mesi per Gilberto Caldarozzi, che fu tra gli investigatori che catturarono Provenzano e che oggi dirige il Servizio centrale operativo; stessa richiesta di pena per Spartaco Mortola, nove anni fa capo della Digos genovese e ora a caccia di No Tav a Torino; quattro anni e dieci mesi per Vincenzo Canterini, che era il numero uno della Celere romana e del disciolto Nucleo Anti-Sommossa sperimentato nel G8 2001 e celebre per l'irruzione nella scuola che divenne dormitorio per i manifestanti sfollati dal nubifragio di qualche giorno prima.
La requisitoria di febbraio ha ribadito che tutti erano partecipi e consapevoli. Per capire quanto sia difficile questo processo è utile tenere a mente le parole con cui esordirono i pm Zucca e Cardona Albini all'inizio della lunghissima requisitoria (poi raccolta in un libro "Scuola Diaz, vergogna di Stato" edito da Alegre pochi mesi fa): processare un poliziotto è come portare alla sbarra uno stupratore o un mafioso. Nel primo caso scatta la colpevolizzazione della vittima (si veda il monte di prigione affibbiata ai 25 manifestanti condannati per devastazione e saccheggio), nel secondo gli imputati sono circondati da un muro di omertà.
Nella sentenza di primo grado, invece, sarebbero state riconosciute solo le responsabilità della manovalanza, anzi di chi l'aveva condotta all'assalto del quartier generale del Genoa social forum: Canterini, il suo vice Fournier al comando della celere e alcuni capisquadra. Gli altri, pezzi da 90 dell'organigramma di De Gennaro, l'avrebbero fatta franca. Eppure la medesima carta stabiliva un milione di euro di provvisionale (primo parziale ristoro in attesa del giudizio civile) per le decine di parti lese, 93 persone cui s'era tentato di cucire la tremenda accusa di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. L'accusa cadde solo nel dicembre 2004 ma il lavoro dei pm Zucca e Cardona Albini non sarebbe valso a inchiodare chi ordinò quella spedizione punitiva, violentissima, per dare in pasto a un'opinione pubblica sconvolta, dall'omicidio di Carlo Giuliani e da pestaggi di massa inediti dal dopoguerra, nientemeno che una taroccata cupola dei black bloc.
Gli imputati eccellenti - Gratteri, Luperi, Caldarozzi - erano accanto a Canterini nel cortile della Diaz ma secondo il giudice, dopo 172 udienze e chilometri di pellicola, sarebbe stato quest'ultimo col suo verbale parzialmente fasullo a ingannarli. Come fosse possibile stare alla Diaz e non rendersi conto del via-vai di ragazzi massacrati in barella, delle urla lancinanti, dell'orrore sul viso di chi premeva ai cancelli con legali e parlamentari ma fu stoppato dal portavoce di allora di De Gennaro, il capo della polizia. Non fu la «normale perquisizione» che il Viminale provò ad accreditare mandando in eurovisione la distesa di prove fasulle: molotov portate apposta dalla questura, attrezzi di un cantiere che restaurava la scuola, stecche degli zaini sfilate da teppisti in divisa ma travisati e che resteranno per sempre sconosciuti agli inquirenti.